Effetto Covid-19: clausole risolutive espresse e minimi di vendita

Gli effetti del lockdown sulle clausole risolutive espresse contenute nei contratti di agenzia con riferimento a volumi minimi di vendita

 

Autore: avv. Luca Tabellini

Sebbene il Covid-19 ormai sia, come molti dicono, “clinicamente spento” e l’Italia intera abbia ripreso a lavorare a pieno regime, la pandemia e il passato lockdown non hanno ancora esaurito i loro effetti su quei rapporti di agenzia vincolati da volumi minimi di vendita che l’agente deve conseguire a pena della risolubilità del contratto ex art. 1456 c.c..

Le restrizioni imposte dal Governo durante le c.d. Fasi 1 e 2 hanno impedito alla quasi totalità degli agenti di commercio di svolgere regolarmente la propria attività di promozione, con l’inevitabile calo dei loro volumi di vendita se paragonati con il medesimo periodo dell’anno 2019 e conseguente probabile mancato raggiungimento del target minimo di vendita eventualmente concordato con il preponente per l’anno 2020.

Le clausole risolutive espresse inserite nei contratti di agenzia con riferimento all’eventualità in cui l’agente non rispetti un determinato volume minimo di vendita possono ritenersi legittime se e nella misura in cui nei fatti non privino l’agente dei diritti sanciti a suo favore dagli artt. 1750 e 1751 c.c., per l’ipotesi di cessazione in tronco del contratto di agenzia (1).

È noto che, ai sensi degli artt. 1750 e 1751 c.c. e della direttiva comunitaria n. 86/653 CE, l’indennità di cessazione del rapporto in caso di risoluzione per iniziativa unilaterale del preponente non è dovuta solo qualora l’inadempimento sia imputabile all’agente e sia così grave da integrare anche una causa legittimante il recesso (2).

Ne consegue che, affinché la cessazione unilaterale del rapporto avvenuta in conseguenza all’applicazione di una clausola risolutiva espressa possa privare l’agente del diritto all’indennità, è necessario il previo accertamento dell’esistenza di un inadempimento dell’agente che integri gli estremi di una giusta causa di recesso e della relativa imputabilità allo stesso, almeno a titolo di colpa (3).

Il giudice eventualmente adito per accertare la legittima invocazione di una clausola risolutiva espressa, quindi, non può limitarsi a constatare che l’evento contemplato nella clausola si sia verificato, ma deve esaminare sia la gravità dell’inadempimento sotto il profilo oggettivo, a prescindere dalla valutazione di esso data dalle parti in sede di redazione della clausola, sia il comportamento dell’obbligato in relazione al principio della buona fede, prendendo in considerazione tutti i diversi profili emersi in sede di esecuzione del contratto che possono aver determinato un diverso tipo di equilibrio, anche quelli soggettivi quale la tolleranza del preponente, che ben può incidere sulla posizione soggettiva dell’agente, escludendone la colpa.

Quanto alla gravità dell’inadempimento, la Cassazione ha insegnato che la legittimità della cessazione in tronco del rapporto non dipende dalla valutazione operata dalle parti in sede di stipulazione della clausola, ma deriva dalla sussistenza dei requisiti per la configurabilità della giusta causa di recesso contemplata dall’art. 2119 c.c., applicabile per analogia anche ai rapporti di agenzia, e quindi dal verificarsi di una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto (4).

Tralasciando ulteriori considerazioni sulla gravità dell’inadempimento, che inevitabilmente dipendono dal caso concreto, soffermiamoci sul secondo requisito richiesto per la legittima operatività di una clausola risolutiva espressa, e cioè sull’imputabilità dell’inadempimento all’agente, almeno a titolo di colpa.

In base ai principi del nostro ordinamento, l’elemento soggettivo della colpa (e quindi la conseguente imputabilità dell’inadempimento) viene meno qualora un evento imprevedibile e straordinario, che esula dalla sfera di controllo dell’agente, si inserisce tra la condotta dell’agente medesimo e un dato evento, in modo tale da escluderne il rapporto causale. In altre parole, per escludere l’imputabilità all’agente del suo inadempimento è necessario che sussista un fatto straordinario, imprevedibile ed incontrollabile, che sia stato da solo sufficiente a causare l’evento che, nel caso in analisi, è il mancato rispetto del target minimo di vendita.

Ne consegue che, nel momento in cui si valuteranno le circostanze in cui è avvenuto l’inadempimento contemplato (i.e. il mancato raggiungimento del volume minimo di vendita), non si potrà prescindere dall’analisi degli effetti che la pandemia e il conseguente lockdown hanno avuto sulla possibilità per l’agente, la cui condotta deve essere sempre caratterizzata da buona fede, di adempiere la propria prestazione.

Il mancato raggiungimento del volume minimo di vendite potrà non essere imputato all’agente se e nella misura in cui sia stato causato dall’emergenza sanitaria e/o dalle restrizioni imposte dal Governo, e non da negligenza dell’agente stesso.

Quindi, la pandemia, le misure restrittive imposte dal Governo ed i relativi effetti protraentisi fino ad oggi, possono limitare l’operatività delle clausole risolutive espresse convenute con riferimento al mancato raggiungimento dei volumi minimi di vendita, se e nella misura in cui abbiano di fatto impedito a quest’ultimo di eseguire la prestazione cui era obbligato.

Con riferimento alla sussistenza di tali condizioni, il Ministero dello Sviluppo Economico, per aiutare i soggetti in crisi a dimostrare la sussistenza di tale evento impeditivo, ha emanato la Circolare “MISE 0088612” del 25 marzo 2020, con cui ha dato istruzioni alle Camere di Commercio presenti sul territorio nazionale, di rilasciare, su richiesta dei soggetti interessati, una dichiarazione che attesti l’impossibilità di assolvere nei tempi agli obblighi contrattuali precedentemente assunti per motivi imprevedibili e indipendenti dalla volontà e capacità aziendale.

In conclusione, applicando i summenzionati principi all’ipotesi in cui il preponente intenda avvalersi di un’eventuale clausola risolutiva espressa in seguito al mancato raggiungimento da parte dell’agente del volume minimo di vendita concordato tra le parti, quest’ultimo potrà evitare la risoluzione di diritto del contratto se e nella misura in cui (a parte le suddette osservazioni sulla gravità dell’inadempimento) la pandemia di Covid-19 e/o le misure restrittive imposte dal Governo si siano inserite nel rapporto causale tra l’inadempimento e la condotta dell’agente, impedendo la promozione delle vendite da parte di quest’ultimo e, conseguentemente, escludendone l’elemento soggettivo della colpa.

TABELLINI AVVOCATI ASSOCIATI – LUCA TABELLINI

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1) Cass. Civ. n. 2456/2011
2) Cass. Civ. n. 10934/2011
3) Cass. Civ. n. 19602/2013
4) Cass. Civ. n. 11971/2016