Novità sulla conciliazione sindacale: la Cassazione la valida solo se avviene nella sede di un sindacato

Novità sulla conciliazione sindacale: la Cassazione la valida solo se avviene nella sede di un sindacato

 

La conciliazione in sede sindacale non è valida se è stata conclusa presso la sede dell’agenzia preponente, o in sedi diverse da quella dell’Organizzazione sindacale del lavoratore.

La natura dell’agente di commercio in Italia è quella di imprenditore, soggetto che svolge la propria attività assumendo su di sé il cosiddetto “rischio di impresa”; ciò significa che le conseguenze – giuridiche, economiche, fiscali ecc… – di ogni scelta compiuta nell’esercizio della sua attività ricadono esclusivamente su di lui.

 

Tra le “scelte” che, in determinate eventualità, l’agente potrebbe compiere vi sono quelle di rinunciare (in tutto o in parte) a taluni suoi diritti (alle provvigioni, alle indennità, alla richiesta di risarcimenti danni ecc…), magari in cambio di altri vantaggi, o al fine di evitare i rischi ed i costi di un contenzioso giudiziario, o addirittura – semplicemente – per poter proseguire un rapporto lavorativo altrimenti a rischio di interruzione.

Stante la sua natura di imprenditore, qualunque scelta dell’agente in tal senso si ritiene normalmente valida, vincolante ed irrevocabile (anche se a suo svantaggio).

 

Tuttavia, ove l’agente operi in regime di “parasubordinazione” (nel caso cioè che la sua prestazione sia prevalentemente personale, fattispecie tipica di un agente operante come impresa individuale), il legislatore ha previsto – quale tutela per l’agente stesso – che le pattuizioni che comportino la rinuncia o la riduzione dei suoi diritti fondamentali (le provvigioni, le indennità ecc…) siano impugnabili (in altre parole: revocabili) entro sei mesi dalle pattuizioni stesse.

 

Ciò a meno che l’accordo tra l’agente e l’azienda preponente sia sottoscritto “in sede protetta”, ossia con l’assistenza di un rappresentante di un’organizzazione sindacale di agenti di commercio a cui l’agente sia iscritto – o a cui abbia conferito delega di assistenza -, che avrà il compito di vigilare che l’agente abbia ben compreso il significato delle clausole conciliative stipulande e le conseguenze di tale pattuizione (l’impossibilità di annullarla o di richiedere ulteriori spettanze oltre quelle previste nell’accordo sottoscritto, appunto).

Per semplificare: se un agente operante come ditta individuale stipula con la preponente un accordo con cui accetta un importo di indennità di fine rapporto inferiore a quello dovuto, può “cambiare idea” entro sei mesi, e richiedere al Giudice la nullità della sua rinuncia suddetta; se invece la medesima rinuncia è stata sottoscritta con l’assistenza del funzionario di un’associazione sindacale di parte agente, quest’ultima non potrà più essere annullata.

 

E’ quindi facile comprendere il vantaggio ottenuto dalla preponente se l’accordo conciliativo con il proprio agente è stipulato “in sede protetta”: in tal modo infatti è escluso il “rischio” che essa gli eroghi somme per poi in seguito venir chiamata in causa per soddisfare ulteriori richieste dell’agente stesso – o per vedersi dichiarare nullo l’accordo ormai raggiunto.

 

A tal riguardo, talvolta si verifica che la preponente richieda all’agente/agli agenti di sottoscrivere l’accordo conciliativo presso la propria sede (o altra sede: legale, commercialista, sindacato datoriale ecc…), facendo intervenire alla firma un funzionario di un’associazione sindacale di cui l’agente non intende far parte.

 

E’ evidente che tale modus operandi presenta talune criticità per l’agente: anzitutto è assai probabile che egli non abbia avuto modo di vagliare previamente – magari avvalendosi dei consulenti del proprio sindacato – il testo dell’accordo conciliativo (di cui spesso viene a conoscenza soltanto immediatamente prima della firma).

 

Inoltre, il contesto in cui si svolge la conciliazione (sede della preponente, sindacalista “estraneo”) possono ostacolare la capacità dell’agente di compiere una scelta serena e consapevole delle relative conseguenze.

 

Sulla base delle suddette considerazioni, la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 10065 del 15.04.2025, ha sancito l’invalidità giuridica della conciliazione sindacale se essa si è conclusa presso la sede del datore di lavoro, anche se a tale conciliazione ha presenziato il rappresentante sindacale, in quanto manca il requisito di neutralità indispensabile a garantire la libera determinazione della volontà del lavoratore [nel caso di specie: l’agente di commercio].

Quindi, la tutela del lavoratore, nell’ambito della rinuncia a diritti di natura inderogabile, è affidata non solo all’assistenza del rappresentante sindacale, ma altresì al luogo in cui la conciliazione interviene, che deve essere la sede del sindacato a cui, volontariamente, l’agente ha aderito (e non la sede della preponente, e neppure il sindacato di categoria di quest’ultima).